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Romano Ragazzini

Era nato a Firenze il 19 febbraio 1924 e aveva vissuto – come lui stesso ricordava – la sua giovinezza negli anni in cui il regime fascista sembrava non avere opposizione e soprattutto i giovani venivano inquadrati nelle organizzazioni del partito fascista.   Romano, come tanti italiani, si rese ben presto conto dei bluff della propaganda e il suo spirito critico e il suo amore per la libertà lo portarono a fare una scelta di vita e politica che poi ha rispettato per tutta la vita.

Romano Ragazzini partecipò dal settembre 1943 al settembre 1944 alla lotta partigiana. Entrò nella Divisione Giustizia e Libertà costituitasi all’indomani della resa monarchico-badogliana a Firenze e comandata da Athos Albertoni, ed esattamente il giorno dopo: il 9 settembre 1943. La formazione Giustizia e Libertà fu una emanazione del Partito d’Azione, guidata da Ferruccio Parri, aperta anche a indipendenti, ma soprattutto liberali, socialisti e repubblicani e tutti professanti un comune ideale laico e democratico. Gli appartenenti portavano un fazzoletto verde al collo.   Ragazzini rimase nella formazione partigiana fino al settembre 1944 un mese dopo la liberazione di Firenze. Ha mantenuto vivo il ricordo di quella esperienza partecipando a tutte le manifestazioni celebrative in rappresentanza della Federazione Italiana Associazioni Partigiane (Fiap) e portando la sua testimonianza di fede nella libertà e nella giustizia. No aderì mai all’ANPI considerandola organizzazione ideologica e partitica.

Abitava in via Melloni a Firenze, modesto, rispettoso, signorile, non vantava mai i propri meriti, che pure erano molti, ricordava i grandi noti e meno noti come Enrico Bocci e gli appartenenti al gruppo di Radio CORA, i fratelli Campolmi, in modo semplice e senza retorica. Non mancava mai alle cerimonie per il 25 aprile, Il 9 giugno alla commemorazione dei fratelli Rosselli a Trespiano, in piazza D’Azeglio e a Cercina per ricordare il sacrificio degli amici di Radio CORA e degli altri e l’11 agosto alla cerimonia per la liberazione di Firenze. Non fu compito facile nel convincerlo a parlare in pubblico, ma quando lo fece, come l’ultima volta in Palazzo Vecchio l’11 agosto 2008, ha sempre avuto toni pacati, misurati. In quella occasione ha ricordato i fatti di cui fu protagonista come membro del Partito d’Azione e il ruolo avuto dalle Brigate Rosselli e dalla Brigata Sinigaglia. Eppure il suo pensiero oltre che ai combattenti andava ai cittadini che avevano subito i pesanti disagi della guerra, alle donne e al loro ruolo in casa e come staffette e alle popolazioni di quelle parti del mondo in cui ancora “per assurde guerre di religione e non solo, ma la voluta incapacità di comprendere i principi di Libertà e Giustizia” subiscono i sacrifici imposti dalla guerra.   E questo è il testamento morale che Romano ci lascia: coerenza agli ideali della sua giovinezza improntati al pensiero di Giustizia e Libertà, disinteresse, rispetto delle opinioni diverse dalle proprie, difesa della memoria degli orrori del ‘900, ma con attenzione al presente e al futuro, nella convinzione che gli ideali di Giustizia e Libertà conservano ancora intatti la loro forza e il loro valore. Trovò naturale affiliarsi alla Libera Muratoria. Iniziato massone nella loggia “Madre Unione n.885” di Firenze il 1° giugno 1964 e divenne maestro il 2 agosto del 1966. Aderì al Rito Scozzese Antico ed Accettato e salì la piramide fino al 33° dedicandosi con impegno. Passò successivamente, causa scioglimento della stessa Madre Unione, nella loggia “Avvenire n.666 di Firenze”, dove partecipò attivamente ai lavori fin quando la salute lo permise. Passato all’Oriente eterno il 3 luglio del 2012 I fratelli della Loggia Avvenire lo ricordano per il suo impegno civile e soprattutto per la sua lotta per la libertà.


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Il Fratello Franco Villoresi

Fratello Franco Villoresi un artista aretino

Franco Villoresi (Città di Castello (PG), 9 sett. 1920 – Rigutino (AR), 29 sett. 1975), pittore tra i più noti ed apprezzati dell’immediato secondo Dopoguerra, fu artista colto e poliedrico (fu anche scrittore). Frequentò a Roma il Liceo classico e la Facoltà di giurisprudenza (senza conseguire la laurea), ma i suoi interessi furono inizialmente letterari. Fu la conoscenza, a fine anni ’30, con Curzio Malaparte, a dargli le prime possibilità di lavorare (come correttore di bozze e, successivamente, come collaboratore della rivista “Prospettive”).

Antifascista, dopo l’8 settembre 1943 , si sottrae con la fuga alla deportazione si dette alla macchia in Toscana, nei pressi di Arezzo, e prese contatto con i nuclei della Resistenza. Ricercato, fuggì in Veneto, dove rimase fino al 1945. Incontra Mafai che intuisce le capacità di Villoresi e per un periodo lo ospita nel suo studio di via Adelaide situato proprio sopra l’abitazione di Trilussa. In quegli anni, fondò e diresse la rivista “Insurrezione”. Fu nell’autunno del 1945 che, giunto a Roma, espose, (in occasione di una mostra sul disegno contemporaneo alla galleria “Il Cortile”) i disegni e gli acquarelli realizzati negli anni da partigiano. Nel 1946 partecipa con un gruppo di disegni a una collettiva nella quale figuravano De Chirico, Capogrossi. Gli anni ’50 furono quelli della consacrazione, coronata con la mostra personale presso la galleria “Vetrina”, curata da proprio dal suo sodale Mafai. Altra amicizia fondamentale fu con Vittorio De Sica che nel 1954 lo presenta nel catalogo di una mostra che Villoresi tiene a Napoli. Seguirono numerose mostre in Italia e all’estero (conquistando anche il collezionismo americano, trainato dal grande regista John Huston). Nel 1958, in seguito ad un grave incidente automobilistico, decise di trasferirsi nei pressi di Arezzo (città dove aveva vissuto l’infanzia), a Rigutino, paese dove rimase fino alla morte. Nel 1971 Franco Villoresi trasferì la sua proprietà e studio di “Palazzo Non Finito” di via dei Pescioni al Circolo Culturale Unità d’Italia, attuale proprietario, costituito inizialmente dalla Loggia Benedetto Cairoli poi diventato patrimonio comune delle sei logge dell’Oriente Aretino del G.O.I. . Entrò in massoneria e fu iniziato proprio nella Loggia Cairoli.  I soggetti più noti di Villoresi (nebbiose periferie, operai in uscita dalle fabbriche, scorci urbani e suburbani), furono anche i più amati dai collezionisti, ma egli esplorò anche altri soggetti (noto il ciclo delle maschere) spingendosi fino all’informale (i collages), riscuotendo grande successo di pubblico e critica, consacrandosi come artista completo, a dispetto di chi lo aveva definito soltanto “crepuscolare”. La Galleria d’Arte Piero Della Francesca, che è da sempre una delle gallerie di riferimento di Villoresi, gli ha dedicato tre mostre personali, tra cui un’importante antologica. Domenico Javarone ha raccolto i suoi scritti, schizzi e poesie in un volume: “ Franco Villoresi: Carte segrete, diario di un pittore”.

 Uno dei suoi scritti più noti è senz’altro la sua definizione di: “ Gran segoni” che ben si addice a tanti ambiti:

I Gran segoni comandano obbedendo,

Si srotolano come

un tappeto al passaggio di quelli che comandano.

In quei momenti gridano evviva con gli occhi, coi capelli,

col naso, col sedere. Solo la loro bocca tace, per

paura di sbagliare.


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Il Fratello Vittorio Vanni dell’Avvenire

La notizia della scomparsa terrena del caro fratello Vittorio Vanni mi ha raggiunto procurandomi un grande dispiacere misto ad un vivo rimorso per non avere interloquito con lui negli ultimi tempi.  Nato a Firenze il 7 agosto del 1942, si affaccia alla Libera Muratoria il 19 marzo del 1971 nella Loggia Avvenire, divenendo anche Maestro Venerabile , andrà poi in sonno il 7.11.2013 per seguire altre esperienze iniziatico-esoteriche. Lo avevo conosciuto nel 1985/1986 frequentando la solita Istituzione di Pubblica Assistenza la Fratellanza Militare di Firenze.

A questa città, Firenze, dalla quale aveva assimilato sia l'amore per la bellezza che l'accesa vis polemica, Vittorio era visceralmente legato e dal giorno della sua nascita fino alla sua morte, non l'ha mai abbandonata. Irruento e generoso, a volte anche piuttosto avventato, sempre coraggioso ma in alcuni casi poco riflessivo, in gioventù aveva militato nell' estrema destra. Nel 1971 entrò a far parte del Grande Oriente d' Italia e l'anno successivo, il 1972, iniziò il cammino martinista attraverso il discepolato con il grande Gastone Ventura (Aldebaran) del quale Vittorio riconobbe sempre l' enorme spessore iniziatico e spirituale. Ventura, vissuto a Venezia, fu un alto ufficiale della Marina Italiana, ma di lui si apprezza soprattutto l'opera di giornalista, critico e scrittore, nel campo degli studi e delle di­scipline tradizionali ed esoteriche, vasta la sua produzione letteraria. Una breve introduzione al Martinismo che è una Via Iniziatica il cui scopo è il "perfezionamento interiore dell'essere umano", attraverso la reintegrazione dell'uomo nell'uomo e dell'uomo nel divino. Malgrado molti indichino nel mistico francese Louis Claude de Saint-Martin, vissuto nella seconda metà del XVIII secolo, il fondatore del martinismo, questi non ha mai creato nessun gruppo iniziatico, ma anzi prese le distanze sia dalla massoneria, così come dagli Eletti Cohen.

Come forma strutturata il martinismo trova la propria nascita nell'opera del Papus, al secolo Gérard Encausse, e successivamente ha raccolto indirizzi operativi e strumenti di altri maestri o gruppi che a vario titolo si riconoscevano nell'esoterismo cristiano. Un Ordine Tradizionale iniziatico e una scuola di cavalleria morale, la cui base è posta essenzialmente sulla mistica giudeo-cristiana, ma non sono mancati indirizzi degenerati dall’ ambito mistico-cristiano.

Fu Gérard Encausse che fondò nel 1881 in Francia l'Ordine Martinista, dando vita, di fatto, al Martinismo moderno, diffuso in tutto il mondo e presente anche in Italia. L'Ordine, dunque, si rifà a Saint Martin, ma quest'ultimo non aveva strutturato il proprio gruppo di discepoli secondo una struttura iniziatica che assomigliasse ad un ordine, bensì semplicemente come un "gruppo di amici", con cui condividere la propria visione mistico-esoterica.

Attraverso il concittadino e fratello Ovidio La Pera a cui fu legato da profonda amicizia per oltre mezzo secolo, Vittorio, conobbe negli anni ' 70 dello scorso secolo anche Massimo Scaligero che era il Maestro di Ovidio. Fu un incontro che lo colpì molto: la grande intelligenza e la profonda intuitivita' di Igneus gli permisero di riconoscere in Massimo un vero Maestro ma la strada che Scaligero indicava non era evidentemente adatta al temperamento ed alla costituzione interiore del fratello Vittorio. Va detto che un altro grosso ostacolo si frappose tra la Scienza dello Spirito e Vittorio Vanni fu costituito dalla sua personale adesione alle dottrine del Kremmerz: cosa quest' ultima, che lo condusse al progressivo distacco da Gastone Ventura ed all' avvicinamento a Francesco Brunelli fratello del GOI di Perugia che è stato anche ospite presso la Loggia Avvenire,  il quale ha lasciato  dei testi importantissimi per la comprensione del valore psichico dell’iniziazione. Animo inquieto e navigatore di acque sempre più profonde e limacciose, Vittorio, si allontanò dall' Ordine Martinista Italiano la sua fu una  frattura con la Struttura dove aveva ricevuto la Luce Martinista . Commise errori e comunque tutti riconducibili ad una eccessiva generosità e ad un entusiasmo quasi fanciullesco perciò credo che tutto gli verrà perdonato molto rapidamente. Studioso e ricercatore di grande levatura, è stato autore di numerose opere sulla storia e sulla filosofia della Massoneria. Negli ultimi anni aveva abbandonato il G.O.I. affiliandosi agli Antichi Liberi Accettati Muratori ma il suo carattere irrequieto e schietto lo aveva messo in urto anche con i vertici di quella Obbedienza. Soprattutto ha avuto il merito di consentire, grazie alla casa editrice FirenzeLibri da lui fondata, la pubblicazione in italiano delle opere di Louis Claude de Saint- Martin tradotte con maestria dall’amico e fratello dell’Avvenire Ovidio La Pera che è scomparso il 20 giugno del 2020, anche lui studioso e traduttore di tante opere, opere di Louis-Claude de Saint-Martin, Böhme e altri, e’ stato uno dei più importanti collaboratori della casa editrice Tipheret. Vittorio ci ha lasciato a febbraio di questo anno, oramai consumato da tanti malanni. La sua scomparsa non è stata degnamente ricordata come l’uomo, lo studioso, il Fratello e il ricercatore avrebbe meritato.

Male ed errore sono impotenza, bene e virtù potenza. La volontà può trasformare l'errore, che altro non è se non una verità debole.

(J .Evola)

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Fratello Guido Brogelli: l’uomo dalle mille identità

Brogelli, Guido (alias: Magrini, Pietro; Masana, Guiermo); nato il  24 agosto 1893 nella parrocchia di San Leonardo in Arcetri a Firenze.

 Guido Brogelli è una delle figure più singolari e curiose della Firenze del 900. Archeologo, giornalista, pittore, pilota d’aerei, politico,massone, soldato… sono alcuni delle attività e lavori che svolse nella sua vita. Sposato in giovane età, dopo la nascita delle sue 2 figlie, Guido, partì come soldato per la I° Guerra Mondiale dalla quale tornerà dopo l’armistizio. Affascinato dall’ideali politici Repubblicani-Mazziniani, era abituale frequentatore “dell’Associazione Mazziniana” e la “Fratellanza Artigiana d’Italia” di via dei Pandolfini (dove è tutt’ora). Proprio dalle frequentazioni di questi gruppi, Guido, entrerà a far parte della Massoneria Fiorentina, nella storica loggia “La Concordia”. Partecipò attivamente contro l’insorgente squadrismo Fascista e proprio per questo, dopo le elezioni del 1923, per paura di persecuzioni contro di lui decise di emigrare in Venezuela. Non sappiamo con precisione quale attività svolse ma già dalle prime foto che inviava alla famiglia il suo tenore di vita non sembrava quello di un emigrato. Sembra che già in Venezuela lavorasse nel campo dell’aviazione anche come pilota di aeroplani. Nel 1926, come ci ricorda William Gannon in un testo del 1962, Guido, durante i suoi voli ebbe una singolare avventura con l’allora presidente Gen. Juan Vicente Gomez, che durante una parata lo fece desistere dal volare per la propria sicurezza personale. Fu appunto nel 1926 che strinse la sua amicizia con Gannon, appassionato di archeologia e ufficiale della marina Britannica in congedo. Gannon fu il compagno delle avventure esplorative di Guido. Partirono, prima, alla volta dello Yucatan dove giunsero all’antica città di Tenochtitlan (capitale Azteca) e qualche tempo dopo ebbero la fortuna di scoprire il tempio di Xiutecuthli (Dio del fuoco). Poi passarono al Guatemala, attraversando, con mille peripezie, l’Honduras in piena rivoluzione. Nel Guatemala lavorarono nel campo dell’archeologia in molte zone, ma a Chichicastenago, fecero la loro più grande scoperta: un’intera città Maya semisepolta.

Anche in Sud America, nonostante gli impegni come archeologo, Guido non venne meno alla sua passione politica, ebbe parti di rilievo nei primi nuclei del movimento “Giustizia e Libertà”. Sempre in Messico venne a contatto con pittori del calibro di Diego Rivera del quale fu discepolo.
Finita la sua esperienza Sud Americana si trasferì in California prima a San Francisco e poi a Los Angeles. Lavorò come giornalista pubblicista con un giornale italiano in California, “L’Italo Americano” diretto da Cleto Baroni (anch’egli fiorentino, editore negli Stati Uniti). Da non dimenticare il suo interesse politico anche in America, dove fu tra i fondatori dell’“Alleanza antifascista del Nord America”. Verso la metà degli anni 30 si sposò con Yolanda Modotti, sorella della famosa fotografa e rivoluzionaria Tina Modotti, sotto falso nome: Peter Michaelangelo Magrini. Nel 1935 venne in effetti rilasciato a Guido un passaporto con tale nome. Dal censimento del 1930 il nostro Guido/Peter risulterebbe a Philadelphia sposato con una ulteriore donna, certa Hilda e con una figlia di 4 anni di nome Doloris.  Si trasferì a New York non facendo mai sapere alla moglie o mogli, in Italia e di essersi risposato. Il nuovo matrimonio non durò tanto tempo e nel 1937 si arruolò come volontario con la brigata “Abraham Lincoln” nella guerra di Spagna dove, in due anni, raggiunse il grado di Commissario Politico del Parco Auto.

Qui in Spagna usò come pseudonimo il nome di Guillermo Masana come testimonia una firma su un suo ritratto a matita del noto pittore Molina del 1938 e da un dossier del Partito Comunista Italiano conservato presso l’archivio delle Brigate Internazionali a Mosca. Ferito durante un bombardamento a Gandesa, passò in Francia dove fu internato nel campo di concentramento di Saint Cyprien. Liberato nel 1939 fece rientro a New York. Rientrato poi in California proseguì nella lotta antifascista dando vita all’associazione democratica “Italia Libera”, che aveva lo scopo di aiutare a preparare la lotta per la liberazione dell’Italia dal tedesco invasore. Nei primi anni 40 entrò a lavorare presso il “Central Metal INC” di Los Angeles. Nel 48 farà rientro a New York, più precisamente nella 21st avenue a Brooklyn, dove inizia a lavorare come direttore presso un rivenditore all’ingrosso di elettrodomestici, ma nell’inverno del 1951, inaspettatamente, venne arrestato dall’FBI. Era nato da poco il suo secondo figlio, John, ma nel pieno periodo del “Maccarthysmo” si ritrovò imprigionato nel carcere di West Street a Brooklyn, l’accusa era: “idee politiche e cospirazione contro il governo”. In alcuni suoi articoli a partire dal 30 Giugno del 1953, pubblicati sul “ Il Nuovo Corriere” di Firenze, Guido racconta la sua esperienza di carcere e della sua amicizia nata con Julius Rosemberg che fu poi condannato a morte assieme alla moglie perché sospettati di essere spie russe. Ecco alcune righe dal “Nuovo Corriere” del 53 dopo che Guido aveva stretto amicizia con Eugenio Dennis, segretario del Partito Comunista in America, anch’egli incarcerato: “…Ci avviammo verso la mensa e mentre camminavamo per un lungo corridoio, Dennis, salutò con la mano un altro carcerato. Mi sembrò di aver veduto la faccia di quell’uomo sui giornali e chiesi a Dennis chi fosse; “ è Rosenberg” mi rispose, con quel tono amichevole e vispo che hanno gli Irlandesi…” . Brogelli, non solo vide Rosenberg, ma condivise con lui la propria cella ed una forte confidenza“…Spesso, mentre io e lui giocavamo a scacchi, rimaneva incantato, con lo sguardo fisso sulla scacchiera, sul pezzo che avrebbe dovuto muovere. E con una mano alla tempia. Poi si toglieva gli occhiali, mi guardava fisso negli occhi e mi diceva: «Scusa Guido, ero con mia moglie e con i miei piccoli. Mi parlavano, ma non udivano la mia risposta. Scusa di nuovo e fumiamo una sigaretta. Ho bisogno di fare due passi. Poi riprenderemo gli scacchi. Tu sai che io voglio vincere questa partita». Ci mettevamo a camminare e lo facevo volentieri perché avevo anch’io voglia di muovermi e stendere i nervi….” Rose, cosi chiamato dai compagni di cella e Guido, era un uomo che non abbassava mai lo sguardo, di qualsiasi cosa parlasse, in carcere, spiega Brogelli, portava sempre in capo uno di quegli zucchetti che tengono gli ebrei che praticano la loro religione.

“….Io scherzavo sempre su quello zucchetto. Un giorno gli dissi: «Rose, lo porti anche a letto codesto copricapo? Così il tuo cervello si mantiene caldo!». Le sue risposte erano sempre spiritose e quella volta mi disse: «Senti Guido, il mio cervello deve abituarsi al caldo perché forse un giorno i miei carnefici, che mi ospitano con tanto riguardo, lo bruceranno. Ma un cervello che stando su questa terra non ha mai mentito, né tremato, né danneggiato alcuno, giunto a nuova destinazione sarà subito rinfrescato da chi è il supremo giudice di tutte le cose»…..”

Guido Brogelli fu processato e condannato a Los Angeles nel 1951 per “soggiorno illegale” negli Stati Uniti dopo il 1939 a tre
anni e 1000 dollari di multa con sospensione della sentenza se avesse lasciato il territorio statunitense entro un periodo di novanta giorni.
Guido rientra così a Firenze dove, inizialmente, venne ospitato dalla sorella Giustina nella sua casa in Via Stibbert. Il suo interesse verso la politica, però, era sempre acceso, impegnandosi con entusiasmo, per il trionfo della democrazia. Nel 1953 aderì al partito “Alleanza Democratica Nazionale” candidandosi alla camera dei deputati per la circoscrizione di Firenze e fu eletto.
Sempre nel 53 collaborò con il “Nuovo Corriere” e poi con “Il Paese”. In seguito si dedicò alla pittura realizzando oltre 50 opere, nelle quali spesso, ritraeva momenti della sua vita nelle Americhe. Nel 63 partecipò ad una mostra collettiva presso i “Capitani di Parte Guelfa” e nel 64 la sua attività proseguiva nella “Galleria e centro di cultura Andrea del Castagno” divenuto ormai il suo studio. Venne iniziato alla R.L. Concordia 110 di Firenze e frequentò i lavori. Il 9 Dicembre del 1964, mentre rientrava in casa, giunto al piano del suo appartamento, con affanno, senza respiro, nell’atto di aprire la finestra per prendere aria cadde sul pavimento senza vita mentre il suo cappello a tese larghe volò via, trasportato dal vento, giù dalla finestra. Celebrato in casa il funerale con il rito Massonico,  dopo l’elogio funebre del generale Acrisio Bianchini, Grande oratore del Grande Oriente d’Italia, la sua bara fu tumulata nel cimitero di Trespiano.

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Fratello Acrisio Bianchini. Un generale ai vertici del G.O.I.

Acrisio Bianchini nasce a Castiglion del Lago, in provincia di Perugia, tranquillo paese che si affaccia sul lago Trasimeno, l’8 agosto del 1891.

Studia e si laurea in Medicina all’Università di Firenze, in tempo affinché fosse mobilitato nella prima guerra mondiale con il grado di sottotenente. Rimase ferito alle pendici del Col Quaterna e rimessosi lo ritroviamo nel 1917 sul Carso e combatté alla difesa del monte Faiti a Gorizia dove si guadagnò la medaglia d’argento al valor militare sul campo che gli fu consegnata dal Duca d’Aosta che lo annoverò fra gli eroi del Faiti. Partecipò all’ultima carica con cui venne conclusa la campagna del Piave. E’ iniziato alla Loggia Concordia di Firenze con la matricola 837 il 16 marzo del 1915 (a 21 anni), ancora studente di medicina. Terminata la prima guerra mondiale, venne inviato in Libia a costituire un cordone sanitario di difesa contro la peste bubbonica, riuscendo ad impedire che l’epidemia si diffondesse dall’Egitto sino alla Libia. Si specializzò in tisiologia e perfezionamento in igiene e conquistò i gradi di aiutante maggiore e poi insegnante d’igiene presso la Scuola di Sanità Militare di Firenze e successivamente viene nominato direttore del sanatorio militare di Villa Ognissanti di Careggi a Firenze, consulente tisiologo presso l’ospedale di Sangallo e direttore dei laboratori di ricerca.

Nel 1933 lo troviamo ad Anzio in qualità di direttore del sanatorio militare e successivamente all’ospedale di Verona e qui raggiunge il grado di tenente colonnello con il quale dirigerà l’ospedale coloniale di Mogadiscio. Venne fatto prigioniero dagli inglesi e fu trasferito ai campi di prigionia in Kenya: venne liberato nel 1943 a capo di una colonna di malati e convalescenti. Rientrato in Italia dopo la caduta del fascismo, fece parte delle formazioni partigiane della Toscana e il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale lo nominò direttore di sanità di tutte le unità militari della Toscana liberata, carica che gli venne confermata dal Ministero della Difesa. Successivamente riorganizzò i servizi sanitari militari delle province di Bolzano, Trento, Belluno e Verona. Promosso maggior generale per i meriti conseguiti, venne distaccato presso il Comando della NATO a Parigi. La sua lunga carriera militare si conclude con il grado di tenente generale. Nel 1966 il Presidente della Repubblica lo insignì con la medaglia d’oro della Sanità pubblica. Ha presieduto, portandola ad alti livelli, l’Università Popolare di Firenze ed è stato consigliere nazionale della Società Dante Alighieri, ma anche di altre associazioni di carattere culturale e benefico. Nella Libera Muratoria scalò i vertici fino a diventare dal 1961 al 1964 con il G. M. Giordano Gamberini Grande Oratore. Nel 1967, sempre con Gamberini divenne Gran Maestro aggiunto fono al 1970. Notevole il suo impegno per introdurre l’Ordine della Stella d’Oriente nel G.O.I. e con la fondazione di Capitoli in città. Fu amico di Guglielmo Marconi , di Vittorio Emanuele Orlando, ma anche dei vari Sindaci fiorentini che si sono succeduti, e fu impegnato nella vita culturale, politica ed artistica.

Ha presieduto la Federazione Nazionale delle Associazioni di Pubblica Assistenza e Soccorso per 14 anni,  dal 1958 al maggio del 1972, organismo che coordina centinaia di Associazioni di volontariato per l’ assistenza e il soccorso in Italia. Presiedette sino dal 1956 una di queste: la nostra Fratellanza Militare di Firenze, società di Pubblica Assistenza e mutuo soccorso, con sede nel chiostro della Sindicheria in Santa Maria Novella. Di entrambe le organizzazioni fu nominato anche presidente onorario. In particolare fondò, nel 1958, un bollettino dal titolo: “ Assistenza e Soccorso” un giornale della Fratellanza Militare di Firenze che a tutt’oggi dopo sessantacinque anni, esce regolarmente, vi scriveva sovente e pubblicò varie poesie, racconti ed eventi di storia locale; si adoperò in modo entusiastico affinché il soccorso in Italia progredisse e affinché le Pubbliche Assistenze, associazioni di cittadini, potessero svilupparsi in una forma diretta di impegno civile e culturale. Unitamente a Don Luigi Stefani, sacerdote dalmata,  integerrimo, profondo conoscitore, difensore e interprete in prima persona della fede cristiana; un Patriota che, da esule Zaratino in Patria, volle essere a fianco e alla testa - come Presidente dell'ANVGD ( Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia ) - del migliaio di connazionali giuliani e dalmati rifugiatisi a Firenze dagli innumerevoli impegni solidaristici in città. Il Bianchini e Don Stefani, nel 1970, si recavano nelle scuole fiorentine per parlare ai giovani e per metterli in guardia dalle droghe. Ad 83 anni scriveva poesie. Curioso sottolineare come nel 1919 scrisse una poesia intitolata: “ Alza le vele” che chiude con:” salpiamo insieme a ricercar l’eterno bene”; mentre una delle ultime: “ Commiato – Alle Stelle” scrive: “l’animo ribelle si placa nel mirar, il ciel stellato, e vorrebbe aver, soltanto amato”. Muore nel 1989, nella sua Firenze non prima di avere contribuito fattivamente alla realizzazione dell’attuale casa massonica fiorentina, le sue spoglie riposano nel mausoleo funebre, il Pantheon dei grandi dignitari della massoneria al cimitero del Verano a Roma (area Pincetto nuovo riquadro 52, n.1, fila 97).

Tommaso Crudeli

Tommaso Crudeli è stato il terzo italiano ad essere affiliato alla Libera Muratoria ( Il primo fu Xaverio
Geminiani a Londra e Antonio Cocchi a Firenze) in una Loggia, detta “degli inglesi” fondata da stranieri che
abitavano in città. Di questa loggia molto ci viene raccontato da Antonio Cocchi nel suo diario “effemeridi”
. Tommaso Crudeli nacque a Poppi in Casentino il 3 marzo 1703, primo di quattro figli Pur non mancando
la cura parentale nell'educazione e nella via degli studi, Tommaso fu affidato a Poppi dapprima a Torello
Vangelisti, poi a Firenze alla docenza di Anton Maria Salvini e di Pier Francesco Tocci. Al suo fianco fu
sempre il tutore conterraneo e maestro Bernardo Tanucci di Stia, che ebbe grande stima di Tommaso
anche dopo le vicende dell'Inquisizione. In linea con la tradizione familiare studiò legge all'Università di
Pisa, dove si laureò in utroque il 24 gennaio 1726 tanto che Tommaso era il settimo dei laureati in legge a
partire dal 1502, a Pisa. L'ambiente culturale di Pisa e le tensioni innovative dove si andava formando la
nuova cultura enciclopedica, impostata sull'atomismo, sulla matematica e sul recupero del metodo storico-
filologico, rafforzò notevolmente la mente di Tommaso in fatto di critica, di antidogmatismo e di pensiero
eterodosso rispetto al monopolio clericale del tempo. egli rifiutò per primo il maggiorascato e irruppe nella
tradizione religiosa con un profondo pensiero dubitativo, in contrasto con i dogmi di fede.
Le descrizioni del personaggio sono legate ad alcune testimonianze. Fra queste un solo ritratto in vita e gli
altri eseguiti a memoria, oltre a uno scritto di Giovanni Gualberto de Soria, coevo di Tommaso e docente di
filosofia a Pisa e vicino all'accusa di eresia, che descriveva il poppese così: «era alto di statura, scarnito,
bianco, d'occhi neri piccoletti, e vivacissimi, naso grande, e auzzo, mandibula inferiore alquanto
prominente in fuori; come per lo più si vede tra gli inglesi, labbra rossissime, riso e voce non spiacevoli,
moti di tutto il viso sempre eloquenti di una viva eloquenza, perché sempre espressivi di un qualche
affetto. Il tutto insieme del suo viso non era molto dissimile dall'aria di Dante, se non che era forse il
Crudeli più colorito».
Dopo la laurea, non trovando spazi culturali a lui confacenti, Tommaso accettò l'incarico di precettore e
istitutore presso i conti Contarini di Venezia. Il soggiorno a Venezia durò due anni (1726-1728), al termine
dei quali rientrò a Firenze, ma lasciò tuttavia un segno importante sia per l'inizio della produzione poetica,
sia per l'approfondimento del suo pensiero filosofico. Infatti, oltre a due sonetti (Per più bella cagion mai
non discese e Bella coppia felice, in cui natura) e una canzonetta (Lascia omai, Venere bella), composti per
le nozze Contarini, la nobile famiglia presso cui era al servizio, il Crudeli poté approfondire la lingua
francese avvicinandosi alla letteratura d'Oltralpe. Troverà negli scritti di La Fontaine motivo di libera
traduzione e, al contempo, di immettere messaggi di chiara ambiguità e quindi utili all'ironia contro la
religione. Al periodo veneziano si rifà, ancorché con qualche dubbio filologico, il dibattito sui temi
dell'ateismo, della religione e della superstizione, dal titolo Entretien d'un Philosophe avec Madame la
Maréchale , edito in francese nella «Correspondance littéraire» (aprile-maggio 1775), la cui prefazione si
attribuisce quasi certamente a Diderot, conoscitore delle opere del Crudeli, di cui era fratello massone e di
cui seppe le vicissitudini patite. La breve permanenza veneziana diede a Crudeli l'occasione di frequentare
letterati quali Francesco Algarotti (fratello massone, una cui missiva al Crudeli fuintercettata dalla polizia
papalina nei pressi di Forlì).
Tra il 1732-33 si stabilì definitivamente a Firenze, scelta per ragioni di salute e perché la capitale
granducale lo affrancava economicamente grazie all'insegnamento della lingua italiana ai numerosi inglesi,
che costituivano una vera colonia di nobili e diplomatici in città. Crudeli poté entrare in contatto con le
‘conversazioni’ più aperte della cultura d'Oltralpe e fu introdotto nella cerchia degli alti dignitari che
ruotavano attorno alle figure del ministro Charles Fane, Horace Mann e molti altri, tra cui Lady Walpole
(contessa di Orford , cognata di Horace Walpole e amante del conte di Richecourt, vero reggente e «arbitro
assolutissimo della Toscana»). Lady Walpole diverrà poi l'eroina dei massoni fiorentini e a lei Crudeli
dedicherà l'ode Il trionfo della Ragione, composta nel 1740 dopo la scarcerazione. Elegante rimatore, libero
pensatore critico nei confronti delle ipocrisie e delle censure, a Firenze strinse rapporti con la comunità
inglese, cui impartiva lezioni di italiano; gli inglesi qui fondarono una loggia massonica ed egli nel 1735 si
iscrisse e ne fu segretario. Ma 3 anni dopo papa Clemente XII scomunicò la Massoneria e Crudeli finì negli
ingranaggi processuali del Sant'Uffizio, grazie anche a false testimonianze. Uomo di cultura, frequentatore
di ambienti internazionali, più aperti alle nuove idee che si andavano delineando sull’onda dell’empirismo
inglese e della metodologia sperimentale di Newton e Galilei, Crudeli finì presto nel mirino del clero locale.
Il 9 maggio 1739 fu arrestato, tradotto nel carcere ecclesiastico e torturato affinchè rivelasse i nomi dei
fratelli massoni. Passò in carcere quasi 2 anni, in attesa della sentenza definitiva, e ciò aggravò la
tubercolosi da cui era affetto. Le sue condizioni di salute si deteriorarono rapidamente e fu soltanto grazie
all’intervento del Granduca Francesco I di Lorena, anche lui libero muratore, che nel 1741 gli fu concessa la
grazia. Molto malato trascorse gli ultimi anni della sua vita a Firenze durante i quali dettò ai suoi amici le
sue composizioni che non erano mai state trascritte per evitare problemi giudiziari, che vennero raccolte e
pubblicate postume (1746 e 1762) ma con false indicazione editoriali (Napoli e Parigi) per evitare
d’incorrere nella censura.